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Innovation Management

Cos’è l’Innovazione: differenza tra Invenzione e Innovazione per il Successo Aziendale

Che cos’è l’innovazione? E qual è la differenza tra invenzione e innovazione, e tra un inventore e un innovatore? Oggi vogliamo parlarvi di uno dei fattori di successo di un’azienda e cosa significa adottare un approccio di innovation management nei tuoi Sistemi di Gestione.

Definizioni di Innovazione

In letteratura esistono molte definizioni di innovazione. Nei secoli, filosofi, economisti e aziendalisti hanno offerto diversi punti di vista. Tra tutte, quella che preferiamo è quella introdotta nella norma UNI 11814:

INNOVAZIONE è un’entità nuova o modificata che realizza o redistribuisce valore.

L’innovazione è quindi un cambiamento che genera valore. Questo aspetto è spesso sottovalutato dalle aziende, che tendono a pensare che l’innovazione debba necessariamente cambiare le sorti del mondo. In realtà, l'innovazione deve essere di aiuto per il proprio business.

Tipologie di Innovazione

Esistono diverse tipologie di innovazione e vari modi per attuarla. La norma UNI 11814 ne individua quattro principali:

  1. Innovazione di Sostegno: Crea un beneficio incrementale. I Sistemi di Gestione a norme ISO sono strumenti diffusi per attuare il miglioramento continuo. Ogni azione correttiva o di miglioramento per raggiungere un nuovo obiettivo rappresenta un'innovazione, spesso di processo o di prodotto, finalizzata a generare valore.

  2. Innovazione Radicale: Introduce nuovi paradigmi, spesso derivanti da nuove tecnologie, che portano a benefici significativi.

  3. Innovazione di Rottura: Vere e proprie rivoluzioni che cambiano le regole del gioco in modo discontinuo, come l'avvento dello smartphone.

  4. Innovazione Dirompente: Intercetta e crea nuovi mercati, con una “strategia oceano blu”, capace di spazzare via competitor e interi settori, come è successo con Netflix e Blockbuster.

Anche se le innovazioni radicali, di rottura e dirompenti sembrano distanti dal mondo della standardizzazione ISO, i sistemi di gestione contengono strumenti per cogliere queste tipologie di innovazione. Ci riferiamo al Risk Based Thinking e al Risk Management, interpretati in maniera olistica nell’innovation management con un approccio multidisciplinare che nella norma ISO 9004, parte della famiglia ISO 9000, si concentra sul successo durevole piuttosto che sulla semplice soddisfazione del cliente.

Innovazione: Idee, Competenze, Cambiamento e Valore

Per fare innovazione servono idee, competenze, cambiamento e... valore. Ciò che rappresenta innovazione per la tua azienda potrebbe essere un processo consolidato per un'altra, magari un tuo competitor. Solo un’invenzione che genera valore può essere definita innovazione.

Un’innovazione d’altro canto non nasce necessariamente da un’invenzione.

Introdurre metodologie o tecnologie esistenti in grado di aumentare il valore generato a livello di prodotto, processo, organizzazione, marketing o modello di business è innovazione. Quando il cambiamento genera maggiori ricavi, minori costi o un aumento degli effetti positivi sulle parti interessate, questo significa innovare.

Per un’azienda, innovare è fondamentale: significa rafforzare o creare nuovi fattori critici di successo. Se sei un professionista che si occupa di consulenza, soprattutto in ambito di sistemi di gestione, il tuo lavoro dovrebbe essere portare innovazione in azienda, non gestire la burocrazia di un Sistema di Gestione certificato a norme ISO.

E tu, ti senti innovatore?

Il ruolo della Qualità nei processi di innovazione

Ha ancora senso parlare di Sistemi Qualità e di certificazione ISO 9001 al giorno d’oggi? Tradizionalmente vengono fornite due chiavi di lettura che possiamo prendere in considerazione quando parliamo di Sistemi Qualità.

La prima è quella più conosciuta e più diffusa: la chiave commerciale. Sui mercati internazionali la ISO 9001 rappresenta un biglietto da visita imprescindibile per poter operare. Averla non dà un reale vantaggio competitivo ma non averla significa essere tagliati fuori dalle trattative più interessanti.

Questo comporta un errore molto grande in cui molte aziende incorrono: vedere la certificazione solo come un costo, una tassa, un casello autostradale dove basta pagare per poter andare avanti.

La seconda chiave di lettura è molto interessante: è la chiave organizzativa, che significa utilizzare la norma come guida, come strumento per costruire un sistema di governo, in grado di aiutare a fare impresa, a competere e a vincere le sfide di ogni giorno.

Questa seconda chiave di lettura impone che il concetto di Qualità venga letto nella sua più ampia accezione, e che la norma sia interpretata tenendo presente l’evoluzione che ha fatto: da standard per assicurare la conformità di prodotto a strumento di governo e di misurazioni dei processi.

La chiave organizzativa funziona benissimo per la totalità dei processi gestionali e buona parte dei processi di supporto.

Sulla base della mia esperienza ritengo che sia ampiamente sottovalutata una terza chiave di lettura, che aiuta a comprendere un nuovo significato di miglioramento continuo: il ruolo che la Qualità ha nei processi di innovazione.

Ecco allora 3 concetti per aiutare a capire quale sia questo ruolo e perché sia così importante.

1. Antifragilità
Correva l’anno 2020. Era Marzo. Penso che ciascuno di noi abbia ben in mente il senso di impotenza e di frustrazione, la paura e la preoccupazione. Il desiderio e la speranza che tutto passasse velocemente, la voglia di ritornare indietro, verso la libertà e la spensieratezza. Come si usa dire: “andava meglio quando andava peggio”.
In quel periodo si è iniziato a parlare di “resilienza”, la capacità di ritornare allo stato iniziale a seguito di un evento traumatico o una difficoltà.
Nello stesso periodo sono incappato in un libro con un titolo enigmatico “Il cigno nero” scritto da Nassim Nicholas Taleb, saggista, matematico e filosofo libanese esperto di matematica finanziaria e teoria della probabilità, che mi ha fatto innamorare del concetto di “Antifragilità”.
Cos’è l’antifragilità? Da esperto di Sistemi di Gestione l’ho ridefinita come “il principio del miglioramento continuo applicato al concetto di resilienza”.

L’antifragilità infatti è la caratteristica di un sistema di cambiare e migliorare a fronte di stress esterni al fine di adattarsi. Significa non tornare allo stadio iniziale, bensì evolvere e ritornare in uno stadio migliore del precedente, avendo “imparato” qualcosa dall’evento avverso. Significa cambiamento.

2. La cultura dell’errore
Introduco il secondo punto con un assioma che mi è stato insegnato e ho fatto mio: “Crea le regole, segui le regole, rompi le regole”.

Per capirlo devo citare una seconda lettura interessante “Elogio del fallimento, perché sbagliare fa bene” di Francesca Corrado.
Un vero e proprio tributo alla “cultura dell’errore” ovvero alla capacità di mettere in evidenza gli errori anziché nasconderli.

Un libro che si potrebbe riassumere in due detti tratti dalla saggezza popolare: “sbagliando s’impara” e “errare è umano, perseverare è diabolico”.
Gli americani dicono: “Sbaglia in fretta, sbaglia spesso”.
Io preferisco la citazione: “l’ottimo è nemico del bene”.

Il principio di fondo è molto semplice: per poter migliorare è fondamentale avere la libertà di sbagliare. Temere l’errore significa temere il cambiamento, non osare mai, e quindi precludersi l’opportunità di migliorare. Nascondere gli errori significa continuare a sbagliare.
Metterli in evidenza significa imparare.

Non è a caso che negli standard ISO il ruolo della “Non Conformità” è centrale quando si parla di miglioramento continuo: affinché l’errore da patrimonio personale diventi un patrimonio aziendale e un organismo complesso come un’azienda costituita da centinaia di persone, migliori le proprie prestazioni e la capacità di competere sul mercato, bene, è fondamentale che l’errore venga tracciato, scritto, analizzato e condiviso.

Per farlo però è fondamentale instaurare una cultura dell’errore, in grado di premiare chi mette in evidenza l’errore che porta ad un miglioramento, anziché sul punire chi sbaglia.

3. Gestione dell’innovazione
Il terzo e ultimo punto che voglio toccare è fortemente correlato ai primi due: la gestione dell’innovazione. Continuando con le citazioni possiamo dire che “Chi si ferma è perduto”.

Innovare significa differenziarsi sul mercato, recuperare efficienza e quindi tempo e costi. Significa aumentare la marginalità e di conseguenza la competitività dell’organizzazione.

Ricapitolando: l’antifragilità è la capacità di migliorare a seguito di un problema, la cultura dell’errore è la fonte della conoscenza che porta al miglioramento. Antifragilità e cultura dell’errore rappresentano quindi le precondizioni per attuare il miglioramento.

Ma che cos’è il miglioramento? Il miglioramento è “il conferimento o l’acquisizione di una modificazione vantaggiosa o favorevole”.

Dove nasce? A fronte di uno stimolo (non conformità) il miglioramento implica la capacità di individuare nuove soluzioni, la capacità di innovare.
Il Sistema Qualità è in grado di contribuire all’innovazione attraverso l’approccio del miglioramento continuo.

Sistema Qualità, oggi significa:
– Applicare il concetto di antifragilità per non tornare allo stadio iniziale, bensì imparare le lezioni che arrivano ogni giorno;
– Disporre di strumenti utili per creare una cultura dell’errore e gestirne i benefici
– Implementare un approccio di innovation management in ambito organizzativo.

Tre buoni motivi per investire nella Qualità, non trovi?

L’indicatore più importante: il DSCR

Il DSCR ovvero il Debt Service Coverage Ratio, è un indicatore fondamentale per la verifica della continuità aziendale nato dal biennio 2018 e 2019 (Early Warning).

L’obiettivo dell’Early Warning è quello di prevenire uno stato di difficoltà dell’impresa e rientra a pieno diritto nel campo di applicazione dei Sistemi di Gestione per la Qualità, che hanno lo scopo di “garantire la capacità di fornire con continuità prodotti e servizi..”

I primi approcci all’Early Warning si sono avuti nel mondo bancario che, dopo aver sottovalutato le perdite su crediti nei periodi della crisi finanziaria, hanno modificato le politiche della valutazione dei crediti nei confronti dei clienti.

L’Early Warning si è sviluppato successivamente anche su una seconda direttrice, quella della crisi d’impresa, definita nel 2019 con l’introduzione del codice della “Crisi d’impresa” che entrerà in vigore nel 2021.

L’entrata in vigore di questa normativa cogente è destinata a portare a conseguenze operative:

  • una verifica costante della continuità aziendale;
  • adozione di un organo di controllo per Srl minori;
  • esistenza di nuovi poteri e nuovi obblighi per gli amministratori;
  • una ricerca di maggiore collaborazione tra banca e impresa.

Il DSCR nell’Early Warning bancario

L’Early Warning bancario ha l’obiettivo di individuare mediante un lista di “alert” un possibile stato di difficoltà dell’impresa. Il DSCR è tra i più importanti fra questi indicatori.

Il DSCR misura la capacità di generare risorse finanziarie sufficienti a ripagare gli impegni finanziari ed è calcolato rapportando il flusso di cassa operativo al debito, comprensivo di quota capitale e interessi. È un indicatore di bilancio che si calcola attraverso una serie di dati contabili e assume un valore soglia di 2.1 per l’Early Warning bancario.

Il DSCR nell’Early Warning della crisi d’impresa

Con il Decreto Legislativo 14/2019, all’art. 2, vengono introdotte per la prima volta specifiche definizioni di “crisi” ed “insolvenza”:

  • Crisi: stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta nell’incapacità futura della società di far fronte ai propri impegni mediante il cash flow aziendale;
  • Insolvenza: incapacità attuale del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

L’obiettivo, quindi, è individuare la crisi, anticipando l’insolvenza.
Il compito è assegnato dal D. Lgs. a soggetti predisposti che hanno l’obbligo di segnalare gli eventuali indizi di crisi dell’impresa.
I soggetti aventi il diritto di utilizzare gli strumenti di allerta e segnalazione sono:

  • Creditori pubblici qualificati (INPS, Agenzia delle Entrate, Equitalia) (Art. 15 Codice Crisi d’impresa);
  • Organi di controllo societari (Art. 13-14 Codice Crisi d’impresa).

Il compito più importante di segnalazione lo hanno gli Organi di controllo societari che possono essere il collegio sindacale, il sindaco e il revisore; attraverso degli indici di controllo sono tenuti a rendere nota la situazione agli amministratori.

Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rilevabili attraverso appositi indici che danno evidenza della sostenibilità dei debiti per un periodo minimo di 6 mesi successivi all’analisi.


Sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri di indebitamento attraverso i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi.

Il Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti ha elaborato un sistema di indici che fanno ragionevolmente presumere l’esistenza di uno stato di crisi dell’impresa:

  • Patrimonio netto negativo;
  • DSCR minore di 1.

Quando invece il DSCR è inattendibile o indisponibile è possibile utilizzare degli indici settoriali (si tratta di 5 indici che assumono soglie allerta differenti per le categorie di attività a cui appartiene l’azienda).

La scelta dell’approccio e del metodo di calcolo è demandata agli organi di controllo interni. Esistono due metodi di calcolo del DSCR nella crisi d’impresa:

  1. Attraverso il budget di tesoreria: il DSCR deriva da un budget di tesoreria, redatto dall’impresa, che rappresenti le entrate e le uscite di disponibilità liquide attese nei 6 mesi successivi.
  2. Dal rendiconto finanziario o business plan. Nel quale il rapporto è così composto:
    • Numeratore: flussi di cassa liberi (finanziari e liquidi) a servizio del debito;
    • Denominatore: uscite finanziarie per il rimborso del debito non operativo nei 6 mesi successivi.

Un buon consiglio per il calco del DSCR può essere quello di non fossilizzarsi al valore dell’indice ma di andare a vedere come è stato calcolato.

Il DSCR è destinato ad assumere un ruolo fondamentale non solo nella vita dell’impresa, vista la sua obbligatorietà, ma anche come indice di efficienza del Sistema di Gestione per la Qualità dell’Azienda.

Verificare indici di prestazione come l’andamento del fatturato o la marginalità delle commesse, infatti, non è sufficiente per comprendere il reale stato di salute dell’Organizzazione, cosa che il DSCR è in grado di fare.

Se il DSCR può essere importante come indice di prestazione del Sistema Qualità Aziendale (visto come insieme dei singoli processi aziendali), è altrettanto vero il contrario. Il ruolo dei Sistemi di Gestione per la Qualità dovrà infatti includere la capacità di organizzare flussi d’informazione sufficienti a garantire un efficace aggiornamento e monitoraggio del DSCR.

La trasformazione digitale della PMI

In questo articolo ci facciamo accompagnare da Andrea Latino, Innovation Manager, consulente, formatore, indicato da Forbes come uno degli under 30 più promettenti in Italia, e Alex Valenti, CEO della Web Agency Leviathan Srl, esperto di Digital Marketing.

Il loro compito è quello di far capire come la trasformazione digitale può impattare e migliorare l’efficienza e la produttività delle PMI e perché la trasformazione digitale rappresenta la chiave di ripartenza post Covid-19.

Quando si parla di trasformazione digitale occorre pensare a strumenti in grado di servire le persone per migliorare le performance.

Questo obiettivo assume due differenti chiavi di lettura:

  • la digitalizzazione come elemento di riduzione dei costi, il miglioramento del lavoro personale e un maggior controllo attraverso la disponibilità di dati da poter analizzare;
  • la digitalizzazione del marketing (digital marketing) per espandere il business e la clientela.

Per quanto riguarda il primo punto, l’innovazione tecnologica ha assunto un ruolo fondamentale per il miglioramento continuo delle condizioni economiche e per il benessere di una società. Essa oggi affianca l’area che storicamente ha sempre avuto maggiore importanza all’interno delle aziende: il capitale umano.

Nessuna Azienda può permettersi di non capire che il continuo aggiornamento delle tecnologie è fondamentale per la sopravvivenza, in un mondo in cui il ciclo dei cambiamenti tecnologici si è velocizzato in modo esponenziale e i costi associati sono diminuiti in modo incredibile.

Che cos’è quindi la trasformazione digitale?

Secondo la definizione di Andrea Latino è “l’introduzione di abilitatori tecnologici all’interno di organizzazioni complesse, guidate dalle persone, che permettono di aumentare il fatturato e la crescita grazie a modelli di business innovativi e/o l’aumento dell’efficienza operativa dell’azienda”.

Per raggiungere questi obiettivi, i modelli di business, gli abilitatori tecnologici e le competenze dei lavoratori operano affiancate, in un modello circolare che vede coinvolte imprese, pubblica amministrazione e cittadini. Se vogliamo avere un modello di business vincente e innovativo dobbiamo avere degli abilitatori tecnologici che lo permettano e delle persone in grado di utilizzarli.

Come un’azienda dovrebbe procedere per adottare con successo la trasformazione digitale? Il modello D.I.V.A. (Digital Innovation Value Assessment) messo a punto da Andrea Latino fornisce una chiave operativa. Il suo modello divide i processi fra organizzativi e gestionali.

Normalmente un’azienda opera per silos, ovvero funzioni che hanno informazioni e dati non condivisi: il modello DIVA mette il Cliente al centro dell’attenzione e tutti i dati legati al cliente scorrono attraverso le diverse aree aziendali grazie ad una reale integrazione digitale fra gli strumenti utilizzati.

Nel modello D.I.V.A. Il cliente viene attratto dal marketing, acquista, e viene mantenuto attraverso i processi gestionali, mentre i processi organizzativi entrano in gioco quando si verifica un problema, attraverso la sua soluzione e il miglioramento che ne scaturisce e consolida la struttura e il know how dell’azienda.

Una chiave di lettura molto interessante che trova parecchie assonanze con la logica di riorganizzazione dei Sistemi di Gestione già affrontata in altri articoli.

Veniamo al secondo punto, lasciato in sospeso: il digital marketing.

Anche il marketing digitale, infatti, è uno degli assi su cui si muove l’innovazione: non a caso viene spesso incluso negli indirizzi strategici finanziati dai bandi di Innovazione Digitale insieme all’acquisto di tecnologie abilitanti.

Alex Valenti ci mette subito in evidenza che per strutturare l’attività di marketing digitale è importante prendere in considerazione la realizzazione della “Brand Analysis”: attraverso tool digitali specifici, è possibile infatti analizzare qual è il posizionamento dell’azienda all’interno del mercato di riferimento, per definire la strategia di comunicazione che può risultare vincente.

Successivamente attraverso la creazione di Buyer Personas si rappresenta l’utente target di riferimento sulla base:

  • della tipologia di utenti a cui l’azienda desidera rivolgersi e che ritiene potenzialmente interessati al settore di riferimento;
  • della tipologia di prodotti e messaggi che l’azienda vuole comunicare, a seguito dello studio effettuato sul brand.

È importante sviluppare le Buyer Personas perché permettono una conversione più efficace, una esplicazione migliore del posizionamento del proprio prodotto, delle esigenze e dei desideri dei propri clienti.

A questo punto è il momento di individuare la domanda online intercettabile. essa può essere:

  • una domanda consapevole, ovvero l’insieme dei potenziali clienti che hanno la consapevolezza di avere un problema, un bisogno o un desiderio,
  • una domanda latente, ovvero l’insieme delle persone che hanno tutti i requisiti per essere potenziali clienti ma che ancora non conoscono il prodotto o servizio dell’azienda.

Per analizzare la domanda consapevole si possono usare dei tool di analisi dei motori di ricerca come Google Ads e in particolare la sezione di Google Keywords Planner, mentre per analizzare la domanda latente si utilizzano dei tool di Business Manager dedicati come possono essere quelli di Facebook e Linkedin.

Una volta che si ha un pubblico ed una domanda inizia la Customer Journey che è il percorso ideale, online e offline, che mette in contatto l’utente con il brand, il prodotto o il servizio.

La Customer Journey si sviluppa in 5 fasi:

  1. Awareness & Engagement: è la fase in cui il potenziale cliente ha un problema o un bisogno e l’azienda deve accompagnarlo nel percorso verso la soluzione;
  2. Consideration: in questa fase il cliente conosce il prodotto e l’azienda deve aiutarlo a sviluppare una preferenza;
  3. Acquisition: il cliente ha scelto l’azienda, d’ora in avanti è necessario sostenerlo;
  4. Experience: il cliente è a suo agio con il prodotto e si rivolge all’azienda solo quando ha delle problematiche da risolvere;
  5. Loyalty: è l’ultima fase e una delle più importanti in cui si deve fidelizzare il cliente trasformando il rapporto azienda-cliente in un rapporto profondo ed emozionale.

In questo breve viaggio nella trasformazione digitale abbiamo visto come la gestione dell’innovazione passa attraverso:

  • Persone
  • Tecnologie
  • Organizzazione
  • Marketing


Solo la giusta combinazione di questi fattori può contribuire al successo della tua Azienda.